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Secondo una recente sentenza, il diritto di critica non è sempre giustificato: la preponente può chiedere il recesso del contratto di agenzia per giusta causa, se l’agente utilizza delle espressioni di disappunto che portino discredito all’azienda.

Il dubbio sorge: quali? Le critiche devono avere determinate caratteristiche lesive dei rapporti di agenzia; nel caso non si tratti di giudizi ma di opposizioni eccessive, la conseguenza porterà la preponente ad avvalersi della facoltà di recesso.

Quando le critiche da parte dell’agente, superano i limiti del biasimo.

La sentenza che ha messo alla ribalta tale questione è quella del Tribunale di Palermo – Sezione Lavoro, che risale al 24/4/2015.

I giudici della Corte hanno ritenuto, in tal caso, di legiferare a favore della preponente e a discapito dell’agente di commercio, dato che è stato considerato legittimo il recesso per giusta causa dal rapporto di agenzia.
Il fatto interessa una banca che aveva intimato il recesso ad un promotore finanziario, il quale aveva utilizzato nei confronti della preponente, delle espressioni critiche aventi le seguenti caratteristiche:

  • intento di conseguire ingiustificati vantaggi personali per il promotore, anche a detrimento degli interessi della banca;
  • in una modalità tali da generare discredito sulla banca, fuori dall’ambito dei diretti interlocutori del promotore (cioè i suoi manager), coinvolgendo anche soggetti estranei alla banca.

In particolare, il Tribunale di Palermo ha stabilito che nel momento in cui le critiche di un agente nei confronti della preponente hanno le caratteristiche sopra indicate, vengono superati i limiti entro i quali è lecito, per un agente, manifestare espressioni critiche verso la preponente.

Liceità di critica, che era stata invece ribadita in una precedente sentenza della Cassazione, n. 12873/2004, la quale metteva in luce il diritto alla libertà di opinione e di disappunto.

Il diritto di critica, infatti, risulta come una specificazione del diritto di libera manifestazione del pensiero espressamente tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. In ogni caso, i limiti all’esercizio di tale diritto da parte dell’agente, sono stati fissati dalla giurisprudenza e non anche dal legislatore come, invece, avvenuto in tema di lavoro subordinato.

Critica o lesione dell’immagine aziendale?

Il tema delle critiche alla preponente, da parte dell’agente di commercio, evidenzia i limiti entro cui è consentino ad un agente criticare la preponente, superati i quali non è lecito per un agente criticare la propria azienda preponente.

La conseguente legittimità del recesso per giusta causa, può far perdere il lavoro all’agente di commercio che abbia dei “ripetuti atteggiamenti provocatori”, come riportato nella sentenza, che siano contrari alla correttezza professionale e al clima fiduciario tra la preponente e l’agente, fondamentale per lo svolgimento di un rapporto di collaborazione tra le parti.

La sentenza, quindi, si pone in un’ottica per cui la critica è legittima ma non una condotta volta a ledere l’immagine aziendale, in cui il disappunto venga divulgato all’esterno dell’azienda, creandole dei danni di immagine e di reputazione.

In definitiva, è lecito per un agente criticare la preponente, a meno che tali critiche non vengano divulgate a terzi estranei, manifestate con modalità che recano un danno all’azienda, e soprattutto nel caso siano finalizzate a conseguire dei vantaggi personali di natura economica per l’agente, a discapito degli interessi dell’azienda preponente.